Lo sviluppo urbanistico

La Borgata Giardino della Garbatella inizia a formarsi nel 1920 ad opera dell'istituto Case Popolari. il progetto iniziale viene affidato a Giovannoni l'architetto e Piacentini Che nel loro lavoro hanno come riferimento il modello delle"Garden Cities" inglesi. Si tratta di un nucleo staccato e lontano dal resto della città che sorge come zona destinata ad alloggiare specialmente gli operai della zona industriale nella quale l'area stessa ricade". Si realizza così il quartiere delle "case popolari quello degli sfrattati e quello degli sbaraccati, le nuove costruzioni di tipo semintensivo, i servizi ed i completamenti. La Garbatella diviene un vasto laboratorio urbano in cui vengono sperimentate ed applicate varie soluzioni e per questo motivo esprime un contesto culturale contraddittorio. Sono presenti sia la "casa rapida", essenziale, che i villini palladiani di De Renzi le case "minime" di Costantini Sabbatini e Nori; i tipi a blocco e gli alberghi suburbani. Le varie tipologie adottate evidenziano il diverso ruolo svolto dai vari interventi. La prima Garbatella è legata ad un'idea di città giardino tutta nostrana; ogni inquilino ha intorno all'alloggio un pezzo di terreno agricolo, particolare cura è dedicata nello studio dei prospetti e scelta di piante pregiate nell'ornamento dei giardini. Con le realizzazioni successive si ha un superamento di questa tipologia; la casa rapida non prevede più lotti frazionati ma spazi e attrezzature collettive. Gli alberghi suburbani si costruirono in seguito al fallimento della politica della casa rapida, La tipologia di progettazione della Garbatella è influenzata dalle esperienze inglesi e tedesche, dagli utopisti all'esposizione della Casa Ideale ed al Villaggio Giardino di Londra dei 1922.

Nell'intervento iniziale affidato a Giovannoni è presente lo stile internazionale rispettoso dell'orografia del territorio, della sua struttura naturale, la grande attenzione per il verde che diventa parte integrante della progettività. Si pensa ad un inserimento vero e proprio dell'abitazione nel contesto naturale. Nonostante ciò l'istituto Case Popolari differenzia notevolmente il proprio intervento da quello delle famose città-giardino estere; anziché le case a schiera si preferiscono i villini di due o tre appartamenti o unifamiliari. Questa scelta fu fatta non solo per un motivo di ordine culturale quanto per rispondere alla necessità di costruire delle case in maniera rapida, funzionali alla politica di decentramento delle amministrazioni statali e comunali. Abbiamo già visto però che il decentramento produttivo auspicato non si verificò e conseguentemente nemmeno il consistente sobborgo operaio. Si verificò soltanto un decentramento abitativo su aree al di fuori del piano regolatore del 1908, quindi di basso valore commerciale perché acquistate a prezzo agricolo. Fu per questo motivo che non furono utilizzate le tipologie dell'urbanista inglese Raymond Unwin. Il quartiere venne però in un certo qual modo nobilitato intervenendo sulla sua struttura generale: si cercò di armonizzarlo prevedendo oltre alle aree verdi, una piazza centrale, case a più alta densità, costruzioni di scuole, mercati, chiese, il tutto riconnesso attraverso una serie di assi stradali. Il modello inglese prevedeva l'integrazione tra città e campagna attraverso il decentramento produttivo e abitativo. Unwin espone così la sua teoria: "suggerisco che la forma ideale della città alla quale essa dovrebbe tendere, consista in un nucleo centrale, circondato da sobborghi, ognuno dei quali raggruppato intorno ad un centro sussidiario che rappresenti la vita comune suburbana del distretto; il sobborgo, a sua volta, sarà costituito da gruppi di abitazioni, officine, o altro, con qualche attività cooperativa collegata con gli edifici e i proprietari delle abitazioni o con gli svaghi collettivi negli spazi pubblici, nei campi di gioco e così via. Per potenziare questo sviluppo ideale della città, ogni singolo sobborgo dovrebbe essere fornito, prima di tutto, di un opportuno centro intorno al quale dovrebbero essere situati gli edifici municipali o amministrativi locali, i luoghi di culto e le istituzioni educative, ricreative e sociali. Sarebbe logico raggruppare le industrie e le attrezzature ferroviarie in collegamento con canali e fiumi dove esistono. Una simile zona industriale dovrebbe essere strettamente collegata, con strade di traffico dirette a comodi mezzi di trasporto, con i diversi quartieri residenziali". A Roma mancano i presupposti per attuare questo schema, per cui l'espansione è legata al valore delle aree; nelle zone centrali dove le aree sono più costose si faranno costruzioni ad alta densità, mentre in quelle periferiche a bassa densità. Ma dopo il 1927 nemmeno questo schema si rivelò adeguato; lo sviluppo di Roma a bassa densità sembrava velleitario anche per il fatto che i villini risultavano comunque costosi per quelli che dovevano abitarli. Finisce così l'esperienza del villino che aveva rappresentato l'alternativa moderna alla tipologia ottocentesca del "blocco".

Con essa finisce anche l'esperienza di quegli architetti ed artisti che rifacendosi al movimento "Arts and Crafts" teorizzavano l'applicazione delle produzioni artigianali alla decorazione dell'abitazione. I villini per questo motivo furono criticati a livello internazionale e definiti "creature del ridicolo". Appena fu quindi evidente la forte incidenza economica delle opere di urbanizzazione e dei costi di produzione, la tipologia del villino si trasformò in palazzina. La palazzina fu la soluzione intermedia tra il villino e l'edificio a "blocco". La palazzina volle essere un'unità architettonica svelta ed elegante, comprendente in sé un modico numero di appartamenti e rispondente meglio del villino, non solo alle esigenze organiche, tecniche, economiche della città, ma altresì all'ambiente, alle caratteristiche climatiche e alle abitudini di vita della borghesia italiana. Il provvedimento nella larga applicazione, ha certo giovato all'economia e all'estetica urbana; sovente ha fatto rinunciare al fosco e denso casermone "che tutto uguaglia e distrugge". Vediamo ora più in dettaglio come avviene la trasformazione tipologica e architettonica delle case. Il primo nucleo di "case popolari" fu realizzato a piazza Brin dagli architetti Costantini Nori, Palmerini, Sabbatini, Marconi nel 1920 e viene presentato alla stampa come un'esperienza alternativa ai "casermoni" e ai "cubi". Le case generalmente sono a due piani, con piccolo orto individuale. Gli alloggi sono costituiti da tre o sei vani e senza bagno. Sono delle residenze molto semplici, costruite con materiali economici, ma che hanno una certa solidità. Il sistema costruttivo adottato è quello usuale dell'epoca a Roma, con muratura mista di pietra, tufo e ricorso di mattoni, solai in ferro o cemento armato, pavimenti in piastrelle di cemento, manto di copertura con tegole alla marsigliese o alla romana, scalini e soglie in graniglia di cemento. L'edificio più importante sulla piazza è quello progettato da Sabbatini sia per la sua maggiore dimensione rispetto ai villini, sia perché fa da fondale alla scenografica scalinata di accesso al quartiere progettata da Plinio Marconi. Il momento centrale di tutto l'insediamento è rappresentato dalla piazza che fa da nuovo collegamento col quartiere Ostiense, mettendo in stretta relazione residenza e lavoro. In questo periodo l'architetto Sabbatini aderisce ad uno stile medievale facendo largo uso dei mattoni a faccia vista e del bugnato ed in cui l'asimmetria è una costante. Nei villini costruiti in questo periodo, in genere le decorazioni esterne sono molto semplificate; si cerca di raggiungere l'effetto generale agendo sul grande movimento delle masse, sui toni dei colore, sul verde della vegetazione. Un ruolo importante in questo lo ha avuto l'architetto Marconi che "...ha con amore e competanza studiata ed eseguita la toilette d'insieme..." del quartiere. L'ingegnier Costantini in via Luigi Orlando, sperimentò anche la costruzione di una "casa popolare di pomice", spiegando così la sua scelta: la necessità di sfruttamento dell'area imponeva fabbricati di una certa altezza, che avrebbero pesato sulle fondazioni e sulla parte sotterrata, rendendola assai costosa. La difficoltà è stata generalmente superata, conciliando la robustezza con la leggerezza della costruzione. Questo si è ottenuto adottando una fondazione in pali simplex, e poggiandovi sopra una gabbia leggera in cemento armato con pannelli e solai in conglomerato di pomice. Nel 1923 inizia la costruzione delle "case rapide" in una sorta di isola intorno a via S. Adautto, con piante e prospetti molto semplici. Originariamente queste case erano collegate a quelle dei primo nucleo tramite una passerella pedonale che scavalcando via delle Sette Chiese, si riallacciava a via Guglielmotti. Nel 1925 l'esperienza delle "case rapide" si ripete dando inizio, intorno a piazza Masdea e via Magnaghi, al quartiere per gli sfrattati. Le case scarne ed essenziali sono caratterizzate da ampi spazi comuni e servizi come stenditoi, lavatoi, spazi gioco, giardini. Il quartiere assume subito una posizione baricentrica rispetto al piano di costruzioni previsto. E' significativo il fatto che già prima che venissero costruite la chiesa e la scuola, lungo la via Magnaghi si svolgeva il mercato all'aperto. Nel 1926 l'architetto Marconi progetta le case di tipo semi-economico su via Fincati. Questo tipo, indirizzato ad un ceto sociale diverso da quello dei villini, è composto da tre fabbricati uniti da corpi di allacciamento e disposti intorno ad un cortile che ancora oggi è una foresta di piante e fiori. Queste costruzioni, sono quelle a più alta densità, dopo gli alberghi; sono alte quattro piani oltre al piano terra e sono costituite da quattro alloggi per piano. I corpi di allacciamento sono alti due piani, ed hanno al piano terra delle arcate che costituiscono l'accesso al lotto. Questo edificio è quello che più si avvicina al tipo tradizionale a "blocco", disposto sul perimetro del lotto e con corpi principali ripetuti. Lo stesso Marconi nel 1927 progetta i villini a riscatto intorno a piazza Randaccio dando alla piazza un senso unitario ed omogeneo. L'architettura rappresenta un notevole esempio di barocchetto romano. Tra il 1925 ed il 1927 fu costruito il quartiere per sbaraccati, con case per la maggior parte progettate da G.B. Trotta. Questo quartiere costituito da oltre 500 alloggi può essere considerato un vero campionario delle tipologie usate dall'ICP. Sono presenti gli alloggi minimi ad un solo piano o sovrapposti, quelli di più alloggi per piano e di due o tre piani. Con questo quartiere si conclude l'esperienza della "casa rapida". La progettazione è molto simile a quella attuata con le "case rapide" di via S. Adautto e al quartiere degli sfrattati. La novità di questo "quartiere" è costituita dall'esistenza di un progetto generale dei lotti che dà un senso unitario a tutta l'area. L'impianto generale è organizzato in stretta dipendenza con l'orografia del territorio, rappresentato da uno sperone sul quale erano presenti varie colture. L'insediamento avviene sostanzialmente lungo tre assi, due laterali ed uno centrale. L'asse centrale parte da piazza Sapeto e lungo via Rubino arriva a piazza Sant'Eurosia. I due assi laterali vanno da via delle Sette Chiese sino al fondo valle lungo via G. Massaia da un lato e lungo via De Jacobis e R. De Nobili dall'altro. Alla testata dell'asse centrale su piazza Sapeto vengono costruiti quattro edifici legati tra loro con corpi di allacciamento che hanno alla loro base delle grandi arcate che fanno da accesso. Vengono anche costruite due scalinate, una delle quali, a prosecuzione di via Rubino, porta alla zona degli "Alberghi Suburbani". Anche in corrispondenza di piazza S. Eurosia vengono costruiti due edifici simmetricamente a via Rubino, collegati nel 1930 da una specie di porta che chiude l'insediamento. Con questi ingressi obbligati viene risolto il rapporto tra la strada e il lotto e si ricostituisce l'immagine dell'isolato all'interno dei quali si svolgono funzioni esclusivamente residenziali. All'interno la circolazione è prevalentemente di tipo pedonale, anche a causa delle strade molto più strette di quelle esterne e della presenza di scale e gradinate. Nel 1929-30 si costruisce intorno alla piazza Bartolomeo Romano con caratteristiche tipologiche completamente differenti dalle precedenti. Gli edifici hanno volumi notevoli, le piante sono più articolate ed i progetti in complesso più ricercati. Fanno parte di queste costruzioni i Bagni Pubblici ed il Teatro ormai essenziali per le dimensioni raggiunte dalla Borgata anche in seguito alla realizzazione degli "Alberghi Suburbani". Principale artefice di questi progetti è l'architetto Sabbatini che dopo l'esperienza medievale mostra in queste opere un forte richiamo alla romanità L'edificio dei Bagni Pubblici diventa una riproposizione "dell'insula ostiense alla quale però si sovrappone, a mò di fotomontaggio, un edificio termale". Il Cinema Teatro Garbatella, oggi Palladium, è una più spigliata e dinamica aggregazione di elementi che hanno il loro momento culminante proprio all'interno in cui le travi incrociate, lasciate in vista, sostengono le gallerie curvilinee ed elevano la cupola di copertura". Dal 1925 al 1931 viene costruito il lotto 10 che è il meno omogeneo di tutti i lotti sia per la composizione urbanistica che per la tipologia di costruzione. Ciò è naturalmente dovuto ai diversi tempi e fasi di realizzazione. Si va dal villino al semintensivo. E' interessante l'edificio progettato da A. Vicario, che sorge su via delle Sette Chiese di fronte ai primi villini dei 1921. Costruito su tre piani, in una zona di catacombe, è caratterizzato da un emiciclo che collega i quattro principali corpi di fabbrica. Bellissimo l'effetto prospettico trasmesso dalle ampie vetrate verticali e dai timpani spezzati. La vera innovazione modernista si ha nel 1929 con le "casette modello", costruite in occasione del XII Congresso internazionale delle Abitazioni e dei Piani Regolatori. Con quest'ultima operazione si voleva "offrire ai visitatori italiani e stranieri un esempio pratico di quanto si potesse realizzare sul tema dell'edilizia delle borgate giardino in ambiente urbano e romano" L'esempio riuscì a convincere pienamente la stampa internazionale che fino a quel momento aveva ironizzato sui tentativi di nobilitare le "case popolari" con strumenti eccessivi e ridondanti di decorazioni. L'opinione diffusa era che alcune case sembravano ministeri, mentre altre sembravano costruite "da Borromini per un cardinale". Stupisce ora questo nuovo "quartiere" dalle linee semplicissime in mezzo ai palazzetti neobarocchi. I prospetti presentano nella parte basamentale dei bugnato in tufo o in mattoni e nella parte superiore intonaco liscio; gli accessi sono evidenziati da scalette esterne e solo in alcuni casi da aperture con arco, altre fanno mostra di alti comignoli. L'ICP per la realizzazione di queste costruzioni aveva indetto un concorso tra le imprese edilizie e con la partecipazione di alcuni tra i migliori architetti della "Scuola Romana". Si trattava di un concorso "costruito", i progetti cioè non venivano giudicati sulla carta, ma dal vero. Le indicazioni del concorso erano quelle di costruire case "ad alloggi sovrapposti, e con accessi direttamente sulla strada, secondo un concetto in voga all'estero, di protezione dell'intimità domestica. Parteciperanno al concorso gli architetti Aschieri, De Renzi, Cancellotti, Vietti, Marchi, Marconi che già sperimentano il nuovo stile razionalista. Plinio Marconi fu il coordinatore del gruppo e progettò la planimetria generale dei lotto. L'intervento fu molto rapido; i progetti furono studiati in un mese, mentre le abitazioni furono costruite in quattro mesi. Anche in questo caso la Garbatella fu un laboratorio di esperienze; si sperimentarono tipologie a carattere estensivo, con "villini isolati" ed a "schiera". L'architetto De Renzi progetta due casette diverse per "concezione ed espressione formale"; la prima costituita da un parallelepipedo di due soli alloggi sovrapposti, l'altra di complessivi otto alloggi (quattro per piano) e con la parte centrale sfalsata. Aschieri nelle sue costruzioni ripete lo stesso modulo abitativo e li dispone in maniera simmetrica rispetto al campo di gioco. Cancellatti dispone i suoi fabbricati al centro del lotto triangolare intorno ad una fontana. I due fabbricati di Vietti sono disposti in maniera simmetrica con la ripetizione dello stesso modulo. Alla testata dei lotto, su piazza G. da Triora, viene costruita la casa n.13 progettata da Marconi a forma di Y. Le tredici "casette modello" situate sul lotto triangolare tra la via delle Sette Chiese, via Borri, via De Jacobis, sono da considerarsi un modello di architettura razionale. Sono di un razionalismo per così dire non esasperato, lontano dal famoso razionalismo tedesco per cui "ogni edificio deve essere caratterizzato, anche dall'esterno, secondo la sua dimensione, il suo scopo, il suo ambiente". Un giornalista tedesco che notò questa differenza la spiegò così: "qui è la forza della tradizione che da al quadro urbano un'energia che è affatto caratteristica". Infine è d'obbligo parlare degli "Alberghi Suburbani" che rappresentano il primo esempio di tipologia speciale nell'edilizia. Progettati completamente da Innocenzo Sabbatini tra il 1926 ed il 1929 e costruiti intorno a piazza Michele da Carbonara dovevano servire a dare ricovero agli sfollati del centro storico in seguito alla politica degli sventramenti. " quattro alberghi denunciano una sperimentazione progettuale che rimanda a suggestioni futuriste, ad un pittoresco tecnologico metropolitano contrapposto al pittoresco idillico rurale dei precedenti interventi". Gli alberghi rappresentarono una grande occasione per Sabbatini, perché fu libero di progettare a suo piacimento e senza controlli da parte dei superiori; quando si manifestò il disaccordo da parte di alcuni, ormai era troppo tardi per redigere un nuovo progetto. I quattro alberghi occupano tre lotti triangolari, tre di essi sono a forma di Y, mentre il quarto è concepito a forma di bottiglia per ospitare la sala da pranzo comune. Questi alberghi, che in buona sostanza non sono altro che dei dormitori pubblici, hanno i servizi ubicati al piano terra; depositi, cucine, refettori, asili per bambini, ambulatori, locali assistenziali ecc. In particolare nell'Albergo rosso trovano posto la chiesa e le scuole elementari, mentre nell'Albergo bianco è situata la maternità. Le stanze ai piani superiori possono ospitare o persone singole divise per sesso, o nuclei familiari. Il "Messaggero" del 29 Marzo 1928 riconosce in questa opera "una migliore pratica costruttiva ed una migliore utilizzazione degli spazi dovuta alla semplice scelta della tipologia del corridoio con stanze a destra e sinistra. "Architettonicamente elementi ricorrenti quali le bucature, il bugnato basamentale, i semicilindri vetrati dei corpi scala, i portici di ingresso con terrazzo soprastante riconnettono in una unità stilistica la frammentarietà delle linee; spazialmente l'interesse è rivolto soprattutto alla invenzione di slarghi, piazze che ripropongono, all'interno, l'effetto-città, una città figurativamente varia e ricca". Gli "Alberghi Suburbani sono la terza ed ultima fase della sperimentazione progettuale di Sabbatini, dove oltre "al linguaggio del Novecento, con implicazioni tratte dalla tradizione romana, si innesta una forte implicazione funzionale tradotta in un formalismo espressionista", dato soprattutto dal movimento delle masse e dalle rientranze dei cortili. Dal punto di vista sociale gli "Alberghi" sono evidentemente l'effetto di una politica non finalizzata ai reali bisogni della popolazione ma compiuta su di essa. Alla popolazione allontanata dalle proprie attività e dalla propria residenza non viene concessa altra alternativa che quella di vivere o in una "casa rapida" o in un dormitorio pubblico. E tutto ciò in base ad un nuovo principio di assetto urbano della città. Lo scrittore Carlo Levi pensando ai drammi sociali che gli Alberghi rappresentavano li descrisse come tristi costruzioni "che sorgono assurde in mezzo alla campagna deserta, tra le sterpaglie, i mucchi di detriti e i fossarelli asciutti... mostruose e sudicie; anacronistiche e tristi come la camicia da sera dal petto immacolato che un selvaggio ubriaco infili sul nero corpo dipinto". Oggi per alcuni versi la Garbatella è considerato un quartiere esemplare ed è riconosciuto che le esperienze tipologiche in esso applicate hanno portato un valido contributo nel contesto culturale europeo. Per avere un quadro completo dell'apporto che i rappresentanti della "Scuola Romana" diedero all'edificazione della città, non possiamo dimenticare l'opera degli architetti Palmerini e Nicolosi. Anche Palmerini in un primo momento è più legato alle maniere dei barocchetto romano, coautore di alcune viliette e di vari dettagli generali dei primo intervento a piazza Brin del 1920-24. Successivamente le sue opere si indirizzarono verso una ricerca della grande dimensione "con volumi fortemente chiaroscurati e riferimenti alla romanità" che sono poi le connotazioni caratteristiche del novecento Romano" Fra le tante sue opere sono da ricordare le palazzine dei lotti 12 e 14 intorno a via Passino del 1926-30. L'ingegner Giuseppe Nicolosi progetta i villini del lotto 51 nel 1928 e le costruzioni del lotto 27 nel 1930, dove è più netta la tendenza protorazionalista. il modello di razionalizzazione che sperimenta Nicolosi non riguarda soltanto l'espressione formale, ma comprende l'organizzazione del lavoro. Bada maggiormente ai problemi funzionali ed ai costi di esecuzione. Ritiene che la casa popolare mantiene alcune caratteristiche della casa media che incidono notevolmente sui costi, perciò è necessario ridurre alcuni spazi che non rappresentano un reale fabbisogno. Bisogna ora dire che dopo il 1935 cessa la ricerca tipologica sull'abitazione popolare che era stata al centro delle attenzioni dei funzionalismo europeo. L'intervento definitivo sulla "borgata giardino avviene con la costruzione della chiesa San Francesco Saverio (1933) e la monumentale scuola Cesare Battisti (1927-29) su piazza Damiano Sauli. Questi edifici insieme al lotto 19 (1940) rappresentano l'elemento di ricucitura e completamento del quartiere. E' evidente qui il riferimento ideologico diverso rispetto alla sistemazione di piazza Brin. Sono presenti i caratteri dell'Architettura di Stato con le immense aquile littorie intorno alla bella torre traforata della scuola ed il portico di forte richiamo alla romanità che fa da ingresso a via Magnaghi. La chiesa costruita su progetto di Calza Bini ha spunti neoclassicheggianti. Bisogna considerare che l'intervento dell'ICP e dei suoi architetti inizia alla fine della prima guerra mondiale, quando con la ricostruzione, lo sviluppo industriale e il conseguente accrescimento delle popolazioni urbane, il problema della casa diventa centrale. Ci si trova di fronte a grandi mutamenti per cui la struttura della città non risponde alle nuove esigenze sociali e il problema urbanistico diventa preminente. Gli architetti-urbanisti moderni, contrariamente a quelli appartenenti al filone della "tradizione classica" si pongono il problema funzionale della città e la rigorosa razionalità delle forme architettoniche. In Italia in particolare il problema degli intellettuali è quello di trovare nuovi modi di espressione che siano tipici della nuova classe borghese, che si differenzino dall'eclettismo ottocentesco che si configurava come un modo di espressione tipico dei l'aristocrazia, ma che nello stesso tempo prendano le distanze dalle avanguardie europee e dal futurismo ritenuto estraneo alla borghesia provinciale italiana. Milano e Roma sono le due facce antitetiche del Novecento. Esso si configura come un movimento che raccoglie artisti di varie tendenze che si dichiarano moderni purché sia rispettata la sana tradizione italiana. Possiamo dire che sono state due le componenti fondamentali dell'architettura italiana; quella europeista che si rifaceva al razionalismo e quella nazionalista che si rifaceva al classicismo. Il Novecento "pur non rifiutando la tradizione e gli stili, si batte per una semplificazione di essi che avrebbe voluto significare modernizzazione ma, soprattutto, reinterpretazione". A Roma il neobarocco e il razionalismo sono i due volti del rinnovamento architettonico. L'ambiente romano è sempre influenzato dal culto della romanità e dagli studi di Giovannoni sull'architettura minore del Seicento. In ogni caso per tutte e due le componenti architettoniche la tipologia più rappresentativa è costituita dall'edificio di abitazione. Gli architetti della "Scuola Romana" in particolare daranno il meglio di sé in questo tipo di costruzioni. Abbiamo già visto come nelle opere dell'architetto Sabbatini si hanno più che in altri tutte le componenti e le contraddizioni della "Scuola Romana". Contraddizioni che gli hanno comunque consentito di costruire e "caratterizzare interi pezzi di città" come la Garbatella.